Anima in pena
Esternare ciò che ho dentro. Attraverso le parole sembra che tutto vada fuori da te stesso. Come vomitare. Poi si è liberi dalla palla di pelo. Quel groviglio ammassato alla perfezione che vaga tra l’intestino, il fegato poi torna al cervello e poi di nuovo nello stomaco. E’ indistruttibile. E’ devastante. Se chiudo gli occhi sparisco. Vado in un’altra dimensione dove non c’è nulla o forse c’è solo il nulla. Paura di dispersione. La dispersione è dissipazione di energie. Coniugare le energie per essere vitali e trasformarle in altra energia. L’entropia non è avida di cotanta energia. Pensare tutto in molecole è smaterializzante. Non chiudere gli occhi. L’ adrenalina genera l’ansia necessaria per restare sempre sveglia. Gioco a nascondino tra un giorno e il successivo aspettando di prendere un aereo. Il lavoro che amo è distante e senza una montagna di carte da scalare non è possibile raggiungerlo. Tra uno schiaffo di depressione e un altro cerco di districare questo mondo di politiche di responsabilità e autocertificazioni di dichiarazioni in formulari inglesi contorti. Quanti archivi ci vogliono per raccogliere tutto ciò. Quanto pesa in ore di elaborazione un documento in .pdf di sei pagine piene di informazioni personali da chi sei a cosa vorresti fare ed essere nella vita. Calcolando anche le attitudini, le info sui garanti e tutti i numeri da contattare in caso cambiassi una virgola del progetto, credo ci sia bisogno di un server grosso quanto la Nasa. Sembra tutto così assurdo ma non lo è. Io sto ancora qui. Niente è più assurdo di questo. Mesi di attesa per cosa? Per continuarmi a guardarmi allo specchio e raggiungere una buona conversazione con me stessa? Neanche quello. Mi sono solo accorta di quanto mi donino i miei punti neri. L’anima in pena a me mi fa una pippa.